LAVORARE SULLE CONVINZIONI

LAVORARE SULLE CONVINZIONI - Convinzioni e Credenze

Dietro ogni nostro dolore c'è una convinzione depotenziante. Sempre. Ogni convinzione limitante, inoltre, ci sottrae energia, libertà, creatività, e, a volte, anche la voglia di vivere. Ogni convinzione depotenziante è una sbarra della nostra prigione interiore e liberarci da questa prigione è nostro diritto e nostro dovere. Ecco alcuni esempi di come le convinzioni limitanti possano condizionare la nostra vita e su come lavorarci. 

RISTRETTEZZE ECONOMICHE

Arianna è vissuta in una famiglia con poche disponibilità economiche, dove veniva posta moltissima attenzione al risparmio. Il denaro era speso per lo stretto necessario e quello in più veniva messo da parte per eventuali imprevisti. Fin da piccolina, a Natale e per il suo compleanno, i regali erano sempre molto economici e comunque utili: mai un gioco, mai qualcosa di cui avrebbe potuto fare anche a meno. Da adulta Arianna diventa una stimata professionista con un ottimo stipendio, eppure non riesce a spendere per sé e quando lo fa si sente profondamente in colpa. Arianna ha interiorizzato il sistema di credenze dei genitori, e il senso di colpa che prova indica che non se ne è liberata affatto. Trattiene cioè la convinzione che “i soldi vanno spesi solo per lo stretto necessario” e che qualsiasi altro tipo di spesa sia uno spreco. E quindi inaccettabile.

La visione che ogni famiglia ha del mondo viene tramandata di generazione in generazione, tanto che numerose credenze che il bambino assimila non derivano neppure direttamente dai genitori, ma dai nonni o da generazioni ancora precedenti. A volte i genitori trasmettono ai figli principi e valori che non hanno scelto personalmente, ma che si sono ritrovati e non hanno mai messo in discussione, magari anche perché in quella particolare epoca non era pensabile discutere su quelli che venivano considerati dei veri e propri ‘assiomi’, che altro non sono che credenze limitanti consolidate.

PAURA DI PARLARE IN PUBBLICO

Giovanni, interrogato da un insegnante, si esprime in modo improprio e viene deriso dai compagni per qualcosa che ha detto, ma che nelle sue intenzioni non voleva essere affatto buffo. Giovanni si sente ridicolizzato e sminuito, e da quel momento non riesce più a parlare in modo disinvolto in presenza di altre persone. Nella sua memoria rimane impresso un segnale di pericolo associato al parlare davanti ad altri, teme che sarà deriso. Una volta adulto, quando gli capita di doversi esprimere in presenza di un pubblico, si sente a disagio. Il suo corpo, che trattiene questa memoria, lo avverte del pericolo attraverso la sudorazione delle mani, il battito cardiaco, la voce malferma, e questo naturalmente indipendentemente da quanto lui abbia preparato il suo intervento e si senta pronto.

Molte delle sensazioni che viviamo nell’età adulta hanno radici negli anni dell’infanzia. Una volta adulti, cioè, è come se rivivessimo delle situazioni non risolte del passato che ci causano gli stessi sentimenti di allora. Se non abbiamo l’accortezza di trovare questo filo invisibile che lega le esperienze dolorose del passato con la nostra vita attuale difficilmente riusciremo a guarirle. Se proviamo dunque emozioni soverchianti, o un senso di forte sopraffazione, con ogni probabilità l’esperienza presente sta ripercorrendo i passi di un passato traumatico, ancora da metabolizzare. E da guarire.

QUELLA SENSAZIONE DI ESSERE INSIGNIFICANTI 

Lucia si sente insignificante, trasparente, pensa che ciò che ha da dire non sia importante né interessante e che nessuno possa trovare stimolante parlare con lei. Quando racconta il suo passato, Lucia parla di una madre molto severa e concentrata su di sé, che non la ascoltava mai, e di un papà assente, che si allontanava per lavoro anche per lunghi periodi. Lucia, figlia unica, fin da piccola si era abituata alla compagnia del suo silenzio. È ovvio che con questo vissuto Lucia non riesca a essere assertiva e sicura di sé. Abituata com’è a non venire ascoltata, continua ad aspettarsi di essere ignorata. Lavorando su questa sensazione, e riconoscendone l’origine, Lucia ha potuto liberarsi definitivamente della sua convinzione di essere poco importante e non degna di attenzione.

L’infanzia è il periodo nel quale depositiamo il maggior numero di convinzioni e la mancanza di discernimento propria di quell’età fa sì che non le scegliamo, ma ce le ritroviamo. Anche da adulti molte nostre esperienze sono guidate da queste prime convinzioni diventate perlopiù inconsce.

Quando abbiamo una convinzione limitante possiamo o aderirvi passivamente o combatterla, ma il risultato è sempre lo stesso: la convinzione ci possiede. Alcune persone che hanno avuto poca attenzione da piccole, invece di diventare silenziose come Lucia, tendono ad alzare la voce e a imporsi agli altri, interrompendoli spesso. Nonostante le apparenze, non è un’eccessiva sicurezza a guidare il loro atteggiamento, ma la paura di non essere ascoltate. Quando c’è una convinzione limitante non riusciamo ad avere un comportamento equilibrato, perché quest’ultimo risulta essere dominato dal ‘troppo’ o dal ‘troppo poco’. 

PARAGONI DISTRUTTIVI

Valeria è convinta di essere poco dotata e che tutti facciano le cose meglio di lei. Si sente perennemente inferiore agli altri. Il suo rigido paradigma mentale è: "io sono meno brava degli altri, ho meno successo di loro in tutto quello che faccio". Questa convinzione è diventata la sua realtà proprio perché è ciò che lei crede con fermezza. E non fa che collezionare episodi che le confermano le sue convinzioni. Solo smettendo di paragonarsi agli altri e riconoscendo la sua unicità, Valeria può scoprire i suoi talenti e valorizzarli. 

Paragoni e confronti possono essere anche molto distruttivi. Ognuno di noi ha talenti particolari e, a volte, i limiti che possediamo ci indicano semplicemente che non dobbiamo andare in quella direzione, e che dovremmo invece rivolgere la nostra attenzione a ciò che ci riesce bene, a quello verso cui siamo naturalmente portati. Se crediamo di essere meno dotati di altri ci mettiamo in una condizione di inferiorità molto distruttiva. Solo cambiando questa convinzione e diventando consapevoli della nostra unicità potremo far fiorire ciò che siamo.

CHILI DI TROPPO

Stefania è grassoccia, si veste sempre in modo dimesso, sembra che voglia dire al mondo di non guardarla. Quando qualcuno fa apprezzamenti positivi sul suo aspetto, lei si sente presa in giro e non li crede possibili. Alla domanda a che cosa le serva il suo grasso, lei risponde che la protegge dagli sguardi degli uomini. Al test risulta che Stefania è incapace a dire di no, il che significa che ogni volta che un uomo la corteggia in modo un po’ deciso lei accondiscende senza sapere se sia veramente ciò che vuole. Il suo peso in eccesso la protegge dalle richieste maschili e le evita di trovarsi in situazioni che non è in grado di gestire. Imparare a dire di no per Stefania significa riappropriarsi della libertà di avere un corpo armonioso senza che questo diventi fonte di problemi come in passato. 

Perché con un’alimentazione simile, una persona sviluppa un ventre prominente e un’altra rimane magra? Siamo abituati a liquidare la faccenda attribuendo a questi fenomeni un’origine genetica, a un diverso funzionamento del metabolismo, o altra causa fisica, senza pensare che il corpo trattiene enormi quantità di memorie emozionali che lo modellano e ne guidano l’espressione. Può essere che siamo in sovrappeso perché, come nel caso di Stefania, ci stiamo proteggendo dalla possibilità di poter piacere, o possiamo trarre qualche altro beneficio occulto. Il fatto che sul piano razionale ciò non abbia alcun senso, non impedisce al nostro inconscio di agire in tal senso. 

FERITE D'ABBANDONO

Giovanni, 42 anni, non ha mai avuto relazioni stabili nella sua vita, ha una paura quasi ossessiva dell’abbandono. I suoi genitori si sono separati dopo pochi mesi dalla sua nascita e lui ha vissuto per diversi anni con i nonni. È dunque stato ‘abbandonato’ sia dalla mamma che dal papà. Giovanni inconsciamente tende ad attirare a sé continue storie di abbandono, nel vano tentativo di cambiare il finale. Non a caso Giovanni si lega a donne che non desiderano condividere la vita con lui nella stessa casa (esattamente come lui non ha avuto una situazione di convivenza con i suoi genitori). In altre parole, l’inconscio tende a ripercorrere le strade che già conosce. Le sue credenze inconsce sono "Amare significa soffrire”, "Se amo vengo abbandonato", “Sono indegno di ricevere amore”. Sciogliere questi vecchi solchi che il passato ha scavato e creare nuove tracce è fondamentale per Giovanni se vuole cambiare le sue esperienze affettive.

Quando tratteniamo ferite del passato tendiamo a riviverle nel presente. Se il nostro inconscio, ad esempio, trattiene il dolore per un abbandono, ci poterà a rivivere le stesse vecchie situazioni, anche se con persone diverse, nel vano tentativo di guarire la ferita originaria. Inoltre, anche se siamo stati abbandonati, potremo credere inconsciamente di essere colpevoli di quell’abbandono, e tenderemo a sentirci in colpa, ritenendoci indegni di ricevere amore. Se viviamo ripetute esperienze di abbandono non è perché siamo sfortunati, ma perché le stiamo involontariamente attirando. 

“NON PIACCIO”

Edoardo è un bellissimo ragazzo di ventisette anni che si sente in difficoltà con l’altro sesso. In particolare, quando una ragazza gli piace, diventa molto timido e impacciato, e intimamente si chiede perché dovrebbe interessarsi proprio a lui. Indagando sull’origine di questa sensazione, Edoardo ricorda quando, dodici anni prima, i suoi compagni di scuola avevano le loro prime relazioni, mentre lui no. Edoardo aveva avuto la sua prima ragazza un anno dopo, quando la maggior parte dei suoi amici più cari aveva già avuto esperienze. La convinzione che si era formata in lui era che gli altri piacevano e lui no. Ma questo era vero solo nella sua percezione.

Il modo in cui abbiamo vissuto inizialmente le nostre esperienze nelle diverse aree della nostra vita vanno a formare la lente con la quale poi tendiamo a guardare il mondo, a volte in modo anche molto limitante. Sappiamo che il tempo è una delle sensazioni meno oggettive che abbiamo: anche se è scandito dalle lancette dell’orologio in modo sempre uguale, a volte ci vola via, mentre altre volte sembra non passare mai. Vedere i propri amici e le proprie amiche avere dei partner e noi non ancora, può crearci quella sgradevole sensazione di non essere abbastanza interessanti, di non piacere, di essere diversi dagli altri. E questo magari solo perché alcuni nostri amici ci hanno preceduto di qualche mese nelle loro esperienze.

DIFFICOLTA' A COMUNICARE I PROPRI BISOGNI

Silvia è molto comprensiva col marito, gli dà sempre attenzione e aiuto quando vede che ne ha bisogno, ma il marito non fa altrettanto con lei e questo la fa soffrire. Alla domanda perché non parli con suo marito, risponde che “lui ha già tanti problemi e ho paura di caricarlo anche dei miei”, ma aggiunge “però lui dovrebbe capirlo da solo quando ho proprio bisogno!”. Silvia ha la convinzione che nessuno la possa capire veramente, si sente infelice e poco amata, ma tutto in silenzio, senza che il marito si accorga di nulla “tanto parlargli non serve”. Se Silvia vuole riappropriarsi di una vita affettiva felice deve cambiare questo suo schema mentale distruttivo, cambiando in primo luogo le sue convinzioni, quindi i suoi comportamenti. Fare la vittima silenziosa non è una virtù, ma un atto autodistruttivo verso se stessi e verso il proprio rapporto di coppia.

Uno degli errori più frequenti che commettiamo nel rapporto di coppia è quello di non esprimere i nostri bisogni profondi per paura di essere o apparire deboli agli occhi dell'altro. Tuttavia pretendiamo comprensione dal partner e, quando non ci viene offerto l’aiuto o l’ascolto che desidereremmo, ci sentiamo soli e pensiamo di non poter contare su nessuno. La realtà è che l'altra persona può non capire di che cosa abbiamo veramente bisogno, e questo non per mancanza di sensibilità, bensì a causa dell’impenetrabilità dei nostri sentimenti. Il consiglio è quello di parlare sempre apertamente dei nostri stati d’animo senza pensare che sia un atto di debolezza. Perché è invece un atto di consapevolezza.